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  • Immagine del redattoreandrea pianigiani

Come erba smarrita




Se dovessi ora dire in che cosa io ho messo finalmente le mie speranze e la mia fede, potrei

solo confessare a mezza voce: non nel cielo – nell’erba. Nell’erba, in tutte le sue forme”


(G. Deleuze)


La storia ha inizio nel 1913, quando il giovane narratore intraprende un'escursione a piedi sulle pendici provenzali delle Alpi. Durante il suo viaggio finisce le scorte d'acqua proprio mentre si trova in una vallata deserta e senza alberi, dove cresce solo lavanda selvatica, senza alcun segno di civilizzazione, eccetto un villaggio ormai abbandonato, un cumulo di case diroccate. Il ragazzo incontra un pastore assieme al suo gregge di pecore, il suo nome è Elzéard Bouffier, ha cinquantacinque anni, si è ritirato sui monti e ogni giorno, da tre anni ormai, pianta cento ghiande. Si aspetta che nascano diecimila querce.«L'uomo che piantava gli alberi» è un racconto allegorico di Jean Giono pubblicato nel 1953. Dietro a questa insolita storia positiva, persino ingenua, si cela un messaggio profondo che si propaga nell'animo e nella cultura umana come le radici, i rami, le foglie e i frutti della pianta sul terreno circostante. È un messaggio di riconciliazione dell'uomo con madre natura, perché l'albero rappresenta, fin dai tempi più antichi, il simbolo e l'espressione della vita, dell'equilibrio e della saggezza. Nella Bibbia un suo frutto proibito ci è pure costata la vita eterna, era l'albero “sbagliato”, quello della conoscenza del bene e del male; in ebraico il verbo “conoscere” significa anche “possedere”, perciò l'espressione ha assunto un'accezione molto simile al “voler essere onnipotenti, onniscienti”, prerogative queste, proprie delle divinità e pertanto vietate all'uomo. Forse, ancora oggi, non abbiamo abbandonato tale ambizione. Cavalchiamo impavidi l'onda del progresso, un galoppo impazzito che ci porta sempre più vicini alla presunta immortalità e, contemporaneamente, sempre più lontani dalle nostre origini. Tali affermazioni non vogliono essere un attacco alla Scienza e alla Tecnologia (sto pur sempre utilizzando un notebook per scrivere e l'ipocrisia la ritengo un atteggiamento sterile), ma piuttosto un'invito ad una sana riflessione su quanto, negli anni, la separazione Uomo – Natura sia diventata sempre più netta ed ampia. Una sorta di grande metafora dissociativa: come se il genere umano, in risposta ad un evento traumatico, avesse messo in atto un meccanismo di difesa primario tenendo distinte idee e cose che, al contrario, stanno solitamente insieme. A mio avviso scindere, separare parti integranti dello stesso Pianeta (Terra) è un atto, che con il trascorrere del tempo, potrebbe rivelarsi autolesivo. Un errore che potremo scongiurare se seguissimo l'esempio di sana interconnessione e ammirevole collaborazione fornito dalle piante. Le nostre coinquiline rilasciano ossigeno assorbendo anidride carbonica, trasmutano la luce solare in zucchero, trattengono le masse di terra nei pendii scoscesi di monti e colline, sono cibo prediletto per la maggior parte degli animali, riservano acqua impedendo la desertificazione e, con la loro chioma, permettono la costituzione e il mantenimento di quei particolari micro ambienti che si riconoscono nei boschi e sottoboschi. Appare evidente che siamo tutt'altro che soli.

La Scuola di medicina di Tokyo ha addirittura dimostrato che le passeggiate nel verde potenziano le difese immunitarie, regolarizzano pressione arteriosa e battito cardiaco, abbassano il cortisolo (l’ormone dello stress) e il colesterolo, curano la depressione, affievoliscono la rabbia, aumentano l’energia e stimolano la creatività. Il segreto è stato svelato dai botanici, hanno scoperto che i benefici nel nostro corpo avvengono grazie ai fitoncidi, degli oli essenziali contenuti nel legno che vengono emessi dagli alberi in forma volatile per difendersi da parassiti e insetti nocivi. Invece, noi, ne traiamo un vantaggio.

La vegetazione come allegoria del nostro mondo interiore ci insegna il ritmo, la ciclicità, il fascino dell'attesa. La psiche moderna, ormai schiacciata e messa a dura prova dalla frenesia del quotidiano, ha perso il suo «pneuma» (dal greco respiro, soffio vitale), il rispetto del proprio tempo. Sempre più veloci e alla ricerca del profitto, distratti dal virtuale, ascoltiamo con fatica le nostre emozioni. Eppure immergendosi nel Verde dovremo sentirci serenamente a casa, in famiglia: già 4000 anni fa gli Egizi attribuivano al verde un valore positivo, era il colore del papiro, simbolo di rigenerazione e associato al dio Ptah, il Grande Creatore, colui che aveva portato l’ordine nel caos primordiale di un mondo acquatico. Dovremo essere abituati alla sua cromaticità, non a caso è presente da sempre, il nostro occhio lo percepisce perché, a differenza di tutti gli altri che vengono assorbiti dall’ambiente circostante, il verde viene respinto. Capirete allora l'importanza che riveste per il nostro umore ed il nostro benessere circondarsi di qualcosa del quale ne facciamo parte a prescindere, accoglierlo e non prenderne le distanze. Molto conosciamo riguardo i benefici derivati dalla relazione con il mondo animale (un esempio su tutti, la pet therapy), ma sottovalutiamo spesso la lectio magistralis di quello vegetale. Sotto la superficie alberi e funghi formano alleanze chiamate micorrize: funghi filiformi avvolgono le radici degli alberi e si fondono con esse, aiutandole a estrarre acqua e sostanze nutritive come il fosforo e l'azoto in cambio degli zuccheri ricchi di carbonio che le piante producono attraverso la fotosintesi. Le risorse tendono a fluire dagli alberi più vecchi e più grandi a quelli più giovani e più piccoli, è così che funziona una foresta. Questa reciprocità non richiede un'armonia universale, ma indebolisce comunque il dogma dell'individualismo e tempera l'idea della competizione come motore primario dell'evoluzione. Allora, forse, non ci resta che girare la chiave sul cruscotto, spegnere la macchina e passeggiare senza involucro alcuno tra le stagioni, sapranno accompagnarci, basterà aprire gli occhi ed ascoltare:


«Quando mi chiese:”Conosci l'estate?”

io per un giorno per un momento,

corsi a vedere il colore del vento.»


(Il sogno di Maria – F. De André)


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