Sospesi nel 2020! Non è un titolo di un film, anche se potrebbe esserlo, decisamente un thriller. Purtroppo non possiamo scomodare i nastri di triacetato di cellulosa, lo faranno i nostri posteri, forse, il materiale non mancherà. No, io mi riferisco all'attuale condizione umana: bloccata in un flusso atemporale che si intreccia in una spirale come un incubo ricorrente. Se ci svegliassimo saremo sicuramente sudati. Invece, rimaniamo intrappolati a metà clessidra bramando un tuffo nella sabbia, bombardati dai media, dalle notizie di numeri, numeri, numeri. Se non altro il Covid-19 ci ha avvicinati tutti quanti alla matematica, quella spigolosa disciplina.
La cultura già sembrava naufragare nel mare dei messaggi subliminali, ma in questo periodo c'è qualcos'altro che è stato lasciato nuotare sotto la soglia della coscienza: il desiderio. Gli antichi aruspici quando trovavano il cielo coperto dalle nuvole non erano in grado di compiere le loro funzioni divinatorie, non potendo vedere le stelle, non riuscivano ad annunciare le loro profezie. Desiderare (dal latino de – sidus) significa letteralmente “mancanza di stelle” intesa come la percezione di un vuoto e, di conseguenza, come sentimento di ricerca appassionata. Nella mia pratica di psicoterapeuta mi chiedo spesso, ed oggi ancor di più, che cosa sia la sofferenza psichica. Personalmente credo che il dolore e l'inquietudine bussino alla nostra porta quando una vita si accorge di essersi allontanata dalla legge del suo desiderio, di aver preso un'altra strada. E' a questo punto che sperimentiamo il buio e, ostacolati dalle nubi plumbee dei soliti discorsi, non andiamo oltre il nostro naso. Cosa desideriamo veramente? Forse siamo tutti piccoli cercatori d'oro, setacciamo il creato alla ricerca della felicità e quando pensiamo di averla trovata è già diventata vecchia, obsoleta, perduta. Allora il desiderio non è soddisfatto e non ci resta che continuare a perlustrare e scoprire nuove pepite.
Nessuna morale, per carità, ma etica. Sant’Agostino in questo ci fa da maestro dicendoci che “la beatitudine è desiderare ciò che si ha” che non significa accontentarsi, ma che «La vera felicità è trovare il nuovo nello stesso». Un esercizio di stile, variazioni letterarie degne del miglior Erasmo da Rotterdam che, guarda caso, si firmava con quel “buffo” pseudonimo: Desiderius Erasmus!
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