“Ain't no sunshine” è senza dubbio uno dei pezzi più belli della storia della musica. Nel 1971, quando esce il disco d’esordio Just As I Am , Bill Withers è un giovane cantante di belle speranze, ma ancora non vive di palcoscenico. Suona per passione, ma nella vita fa tutt’altro, è un operaio, costruisce componenti per i bagni del Boeing 747 e sviluppa il proprio talento nei ritagli di tempo. Il brano inciso sul lato B è un soul acustico che parla di abbandono, delle ferite dell'anima, la canzone è semplice, diretta, immediata, nella cui strofa centrale Withers canta ripetendo per 26 volte, quasi fosse un mantra, la frase “I Know”. Una reiterazione geniale che ne determina il successo anche se, in realtà, l'autore l'aveva inserita come riempitivo nell'attesa di trovare un verso che esprimesse meglio la propria malinconia. E' stato difficile anche per lui rintracciare un termine che condensasse in una sola parola uno stato d'animo così pervasivo e complesso.
Malinconia deriva dal greco, significa “bile nera”. Le radici culturali dell'associazione fra colori ed emozioni risalgono ad una tradizione che ha dominato la medicina occidentale. La scuola ippocratica, riprendendo la teoria dei quattro elementi fondamentali (aria, acqua, fuoco e terra), sosteneva che il corpo è composto di quattro umori: il sangue, che ha la sua sede nel cuore, è l'aria, la bile gialla nel fegato è il fuoco, il flegma nella testa corrisponde all'acqua e infine la bile nera sta nella milza e corrisponde alla terra. Il loro mescolamento equilibrato o squilibrato è la base della salute e della malattia.
Spesso, nell'immaginario collettivo, la malinconia viene associata alla depressione, una malattia quest'ultima decisamente più invalidante, persistente e accompagnata da una sofferenza mentale intensa. Al contrario, lo smanioso torpore che domina il malinconico è fonte privilegiata del senso della vita e del pensiero, si interroga sulle cose. Può sembrare strano e paradossale, ma adagiarsi sulla solitudine è alla base dell'immaginazione creativa nell'arte e nella scienza. Mi chiedo perché a volte ci sforziamo di rifuggire tale stato d'animo come fosse il nostro nemico peggiore, lo temiamo, a momenti, addirittura, lo odiamo. Sprofondare non è necessariamente un verbo spaventoso se lasciamo che diventi un viaggio interiore alla ricerca delle nostre verità, quelle che di solito crediamo galleggino nel mare quotidiano. Dedicata a coloro che si sentono persi e spaesati, abbandoniamoci allora alla melodia della nostra bile nera affinché ci trascini, come dice Panofsky, senza paura, in “un'oziosa meditazione”.
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